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6 gennaio 2022
Vita da cani (A Dog’s Life) di e con Charlie Chaplin, Edna Purviance, Usa, 1918
La «prima opera completa del cinema»: così, nel 1921, Louis Delluc
defi nisce Vita da cani, il primo degli otto fi lm First National
che, tra il ’18 e il ’22, Chaplin realizza nel suo nuovo studio. Scrive
a ragione Lourcelles che Vita da cani è un gran gioco di «variazioni
su fame, freddo, solitudine, esclusione, lavoro, e sull’amicizia con
un animale (il cane, come più tardi il bambino del Monello, è un
doppio, un fratello di miseria di Charlot) e sulla scoperta dell’amore
». Chaplin ha già alle spalle gli shorts dei periodi Keystone
(che Von Bagh ritiene un corpus splendido e imperituro di 34 fi lm
liberatori, di totale anarchia e bellezza selvaggia), Essanay, Mutual.
Ossia, l’invenzione del vagabondo, «uno dei grandi misteri artistici
del XX secolo», si è compiuta da tempo. La miseria di Vita da cani
genera un capolavoro di pantomima. Charlot – uno Charlot senza
canna da passeggio, ché deve già tenere il guinzaglio del cane –
attraversa una serie di scene di «euforia persecutoria» di geniali
scansioni. Si veda la fuga dal cop, giocata sul passaggio ripetuto
e variato due, tre, quattro volte, sotto/attorno alla staccionata
del cantiere che è il suo rifugio all’addiaccio; o le corse da uno
sportello all’altro dell’uffi cio di collocamento, sempre preceduto
da un altro disperato. Sino al beffardo idillio fi nale. Charlot, ora
contadino, dopo una semina alquanto «creativa», torna al casolare
dove l’attende Edna Purviance. È il più classico dei focolari agresti,
allietato da una culla. Dentro, però, con superbo transfert, ci
scopriamo la cagnetta e la sua nidiata.
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