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6 gennaio 2022
Il navigatore (The Navigator) di e con Buster Keaton, Usa, 1924
La donna è, sempre, per Keaton l’unica forma di socialità, ma la sua
conquista nel Navigatore ha per scenario uno fra i più eccentrici spazi
mitici della sua personalissima Frontiera: l’oceano come deserto. La
situazione è estrema: una nave morta, una nave alla deriva, su cui
per un disguido si ritrovano, l’uno a insaputa dell’altro, un rampollo
di ricca famiglia e la ragazza che l’ha appena rifi utato. Lo sviluppo è
più che mai «a spirale», a precipizio, e quasi tutto in interni. Interni
che sono corridoi da inseguimenti o anfratti da angoscia, dove le
cose si animano e le porte sbattono, tutte assieme, di colpo. C’è un
clima da cinema di minaccia, in cui ognuno dei due giovani sospetta
un’altra presenza. Il loro rincorrersi è un gioco assoluto, labirintico
percorso di un uomo verso una donna e ritorno. C’è in Keaton come
il rifl esso di una «maledizione esistenziale», incorporata nella sua stessa
fi gura, così come la descriveva Benayoun: fi sico rural-lincolniano
ma con pose da dandy anni Venti, occhio scuro («blu notte») che
distanzia, che si rifi uta a una facile intimità. C’è in lui come una
naturale, casuale spinta verso l’assurdo, ma a un tempo, muove i suoi
fi lm una «passione meccanicista» assai moderna e americana. Con
i mezzi di trasporto fi nisce così per ingaggiare una lotta ossessiva,
senza fi ne (sublime è la barchetta con cui tenta di trainare la grossa
nave incagliata). A bordo del sottomarino che li ha salvati dal mare e
dai cannibali, fi nirà per toccare casualmente una leva, facendo girare
vorticosamente lo scafo su se stesso, in un nuovo inizio di vertigine.
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