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6 gennaio 2022
Destino (Der müde todt) di Fritz Lang, con Lil Dagover, Bernhard Goetzke, Germania, 1921
Buñuel attribuisce a Destino, visto a Parigi nella storica sala del
Vieux-Colombier, la sua vocazione di cineasta («il fi lm mi toccò
profondamente, illuminando la mia vita») e la scoperta delle
risorse poetiche del cinema (specie in fi gure come quella della
Morte e in scene come quella del suo arrivo la sera, al villaggio).
Una fanciulla perde il suo amato. La Morte, una Morte umana, è
disposta a restituirglielo, ma a condizione che lei superi tre prove.
Che si riveleranno tre avventure tragiche a Bagdad, a Venezia, in
Cina, tre viaggi nell’altrove di una «temporalità maledetta», chiusi
da un Sacrifi cio che si fa «canto fermo» di «preghiera aurorale».
Contrassegna Destino una felice discontinuità stilistica che stratifi ca
toni di ballata viennese ed echi di fi abe e miti nordici, citazioni
pittoriche (Grünewald, i romantici) e luminismo espressionista,
farsa picaresca e onirismo fantastico. Si genera, scriveva Savio, «una
cert’aria di spezzatura, al cui fascino è diffi cile sottrarsi». Franju vi
vede, anzi, le radici di una sorta di montaggio eidetico, già oltre
l’impressionismo artistico della camera. Anni dopo Lang spiegherà (a Bogdanovich) che Destino, ossia l’«anima romantica» al lavoro,
era il primo dei suoi racconti sui tedeschi. Svarieranno tra saga e
leggenda (I nibelunghi), crisi di Weimar (i Mabuse), società massifi
cata (Metropolis), civiltà fantascientifi ca (Una donna sulla luna).
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