6 gennaio 2022

La passione di Giovanna d’Arco (La Passion de Jeanne d’Arc) di Carl Theodor Dreyer, 1928 Francia

Rouen 1429. Il processo e il rogo di Giovanna d’Arco. Capolavoro del muto, per geniale contraddizione è un fi lm su un processo in cui la parola è ridotta a didascalia, è fi lmata come parola in atto, resa eloquente dai grandi primi piani. A ritroso vi si ritrovano i grandi temi di Dreyer, il suo rigorismo protestante, la grazia e la predestinazione, e una religiosità che è pura spiritualità e scontro con l’istituzione, e fa corpo con un disperato, fi sico amore per la vita. Sin dal suo apparire la prepotente novità del fi lm suscita l’interesse di giovani come Buñuel che scrive di un capolavoro «realizzato a base di primissimi piani il cui autore non impiega quasi mai il piano d’insieme. Ciascuno di essi è stato composto con tanta cura e senso artistico che molte volte diventa quadro senza mai cessare di essere inquadratura». Soprattutto il fi lm suscita le analisi di teorici e storici come Balázs, Arnheim, Kracauer. Il primo ne analizza la perdita della «coscienza dello spazio» da vero e proprio «dramma di anime»; il secondo rifi uta questa serie di magnifi ci ritratti perché applicata a una forma – spesso di interrogatorio – che ritiene poco cinematografi ca; l’ultimo individua acutamente il processo di trasformazione dell’intera realtà storica in realtà della macchina da presa. Violenti scorci a piano della cinepresa inclinato, eccezionali inquadrature non frontali; ma è soprattutto attraverso la geografi a dolorosa di volti non truccati che si attua un ascolto della parola così intenso che è «come se sorgesse dall’interno dello spettatore».

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