9 gennaio 2022

Gli uomini che mascalzoni di Mario Camerini, con Vittorio De Sica, Italia, 1932

In Gli uomini che mascalzoni c’è già tutto il cinema di Camerini: la grazia di un idillio giovane tra un meccanico e una commessa, un’ambientazione reale (la Fiera di Milano, da poco inaugurata) invece dei soliti «pezzi di strada ricostruiti alla Cines», più esterni che interni, De Sica «attor giovane», una canzone di duraturo successo (Parlami d’amore Mariù). C’è il piacere di raccontare e la coscienza del fare che sono di Camerini, ci sono i suoi tipici, veloci montaggi da muto in un fi lm parlato. Inizia qui con De Sica quel gioco di travestimento e fi nzione destinato poi a farsi quasi problema teorico di identità sdoppiata nel Signor Max. Sottilmente ambigua è l’immagine che rispetto al regime assumevano attori come De Sica – o i Tofano, Cimara, Melnati – capaci di proporre su set e palcoscenici un loro stile di vita. Già nel ’44, essi appaiono a Steno (lo scrive in un bel libretto, Sotto le stelle del ’44) come i veri fi gli della borghesia nel ventennio, con il suo benessere «un po’ arido, un po’ cinico, un po’ crepuscolare», con il suo tacito e blando disinteresse per le sorti imperiali, di contro a Zacconi o Forzano, «tipi mussoliniani». Tutto questo appare in De Sica quasi una seconda natura, attore, nel senso più ampio del termine, su questa scena «disincarnata», eppure familiare.

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