10 dicembre 2019

Tunnel Eroina (1980) diretto da Massimo Pirri.

Titolo inequivocabile, come inequivocabile sarà il monologo iniziale di Helmut Berger. Bandito ogni moralismo residuo, rimane solo la consapevolezza di essere tossico per scelta e piacere. Una dichiarazione di intenti in piena regola che permette a Pirri di stabilire subito quello che verrà portato sullo schermo.
Continua il cammino nella breve filmografia di Massimo Pirri, autore "impari", assolutamente personale, che con questo controverso "Tunnel" presentato al Festival di Venezia nel 1980 ma distribuito solo il 14 aprile del 1983, getta uno sguardo impietoso sull'universo dei tossici romani, proprio nel passaggio cruciale tra settanta e gli ottanta. Marco (Berger) è un tossico, con ricca famiglia e matrimonio fallito alle spalle; se ne va in giro con Pina (Corinne Clery) e l'amico Tobia (nientemeno che il Marzio C. Honorato, presenza fissa della soap "Un posto al Sole") in perenne ricerca di mezzucci che gli consentano di spararsi lo "schizzo" giornaliero. Un "nucleo familiare" che vive ai margini della società, in un vecchio autobus abbandonato stile Merry Pranksters; naturalmente impossibile sarà il dialogo con la "famiglia istituzionalizzata", se non nell'ottica dello sfruttamento, ma nemmeno con la malavita del "baretto", che li considera degli inutili pezzi di merda, se non, ancora peggio, degli infami. Si respira, nel cinema di Pirri, specialmente in questo caso e nel precedentemente affrontato "L'Immoralità", un senso di morte, un'atmosfera cimiteriale, che avvolge i protagonisti fin dai primissimi fotogrammi, per poi accompagnarli fino all'epilogo. Già tutto scritto, già tutto mostrato. Pirri non crede nella redenzione, nel trucido happy end, nell'amore salvifico. Il finale non può che (e deve) essere obitoriale. Nell'andamento sostanzialmente realistico del narrato, non mancano vere e proprie sterzate nel genere e nell'exploitation, soprattutto nel subplot concernente la breve parentesi dei protagonisti come spacciatori di fatto; magnifica, nella sua impennata di violenza e sadismo, la scena in cui Franco Citti (grandissimo) e soci fanno irruzione nell'autobus per sequestrare la partita di eroina acquistata da Marco con i soldi ottenuti tramite testamento dopo la morte della madre. Nello squallore del bus/baracca si consuma un pestaggio che non ha nulla da invidiare ai poliziotteschi nostrani, con un superlativo Citti (sempre a suo agio in ruoli di questo tipo) che massacra di botte Helmut Berger a cinghiate, colpi su colpi, sferrati con una ferocia disturbante che non può non essere apprezzata dal cultore e appassionato di cinema. Così come la cultissima scena in cui la Clery si spara la dose direttamente via passera (mi si perdoni il francesismo, non renderebbe altrettanto l'idea), in primissimo piano, pensate in sala quale effetto possa aver sortito, perfetto compendio dello stile registico di Pirri, sempre in bilico tra autorialità e contaminazioni di genere.

Nessun commento: